Il processo Terzo Livello “ha consentito di accertare un quadro specifico di infiltrazione della criminalità organizzata nella pubblica amministrazione cittadina forse senza precedenti.” Un quadro che poteva essere più ampio, l’indagine probabilmente ne ha svelato solo la punta dell’iceberg, perché i soggetti sotto la lente hanno dimostrato ampia capacità di tutelarsi da orecchie indiscrete.
E’ dura la Procura di Messina alla fine del processo scaturito dall’indagine della Dia sull’operato di Emilia Barrile, presidente del consiglio comunale di Messina nella scorsa sindacatura. Le parole sono del Pubblico Ministero Fabrizio Monaco, che accompagnato dalla collega Federica Rende oggi ha depositato al Tribunale di Messina le proprie conclusioni, chiedendo condanne per tutti.
Le più alte, 7 anni e 6 anni e mezzo, la Procura le ha chieste rispettivamente per il commercialista Marco Ardizzone e la Barrile, considerate le “menti” del sistema che aveva infiltrato l’amministrazione, all’epoca guidata dalla Giunta di Renato Accorinti. Soltanto per l’ex presidente di Amam Leonardo Termini e per Francesco Clemente la Procura ha sollecitato l’applicazione delle attenuanti generiche.
In 345 pagine depositate agli atti della I sezione Penale del Tribunale, la Procura ha ripercorso le indagini, puntellando le accuse mosse agli imputati soprattutto attraverso le intercettazioni telefoniche che secondo i PM “hanno rivelato uno “spaccato di rapporti inquietanti, nel quale la Barrile operava, risultando ella dedita con sistematicità ad attività di pressione su uffici pubblici, finalizzata al pronto soddisfacimento di interessi privati facenti capo ad importanti imprenditori operanti nella città di Messina. Lo sfruttamento del ruolo pubblico ricoperto dalla Barrile si rivela interessato non solo ad un ritorno elettorale ma anche alla corresponsione di utilità di vario genere”.
Per la Procura di Messina, il processo ha fornito i riscontri a quelle ipotesi d’accusa iniziali, ed ha pienamente provato in particolare la più pesante delle accuse mosse alla “pasionaria” del consiglio comunale, ovvero l’associazione a delinquere.
“La Barrile è gestore occulto di plurime attività economiche, attraverso fedeli prestanomi, parimenti riferibili ad un pregiudicato come Marco Ardizzone. Attività che vengono in contatto con gli uffici pubblici sui quali la Barrile dispiega illegittimamente e con spregiudicatezza tutta la sua influenza” scrivono i magistrati dell’Accusa.
De Almagro e Termini, sostengono i due Pm nella requisitoria, almeno in una occasione hanno violato i doveri pubblici mostrando una certa spregiudicatezza. Vero che Termini ha rivelato una serie di circostanze alla Dia, ma lo ha fatto dopo aver saputo che c’era una indagine in corso, quindi più preoccupato per il suo coinvolgimento che spinto da una completa volontà di denunzia di fatti penalmente rilevanti.
Quel che è emerge di quegli anni, secondo la Procura di Messina, è un “allarmante spaccato di sistematico mercimonio della funzione pubblica”. La Barrile, sostengono i magistrati, poneva di fatto l’influenza derivante dalla sua carica pubblica a disposizione degli imprenditori Tony Fiorino, Sergio Bommarito e Vincenzo Pergolizzi.
Dietro la Peloritana Servizi, riconducibile ai Pernicone – condannati per concorso esterno alla mafia – c’era la Barrile, che era dominus anche della Universo e Ambiente. Ad ispirare la sua condotta era Marco Ardizzone. Per la Procura, l’oggi commercialista è il traid union tra l’ex presidente del Consiglio e il quartiere di Gravitelli, dove la stessa Barrile viveva.
E’ il suo dominus, ed è un soggetto “di elevata pericolosità sociale”, in passato invischiato in fatti criminali proprio legati a quel rione, a seguito dei quali si era trasferito a Subiaco, salvo poi “tornare” per diventare il timoniere della carriera elettorale di Emilia Barrile.
Tante le vicende ripercorse dalla Procura per tratteggiare il ruolo della Barrile. Come il suo interessamento, sollecitato da Francesco Clemente a sua volta “chiamato” da alcuni commercianti della zona, per bloccare l’isola pedonale di Torre Faro.
Ancora, il “patto corruttivo” messo in piedi con Sergio Bommarito, il patron della Fire, “finalizzato allo scambio di favori”, del quale Francantono Genovese gli diceva di “trattarlo con le pinze”. O l’appoggio a Daniele De Almagro, braccio destro di Termini all’Amam: anche se presentato come espressione politica della Giunta Accorinti, in realtà aveva siglato un patto con la Barrile. Una rete di rapporti e favori finalizzata al ritorno elettorale per la Barrile.
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