Dalle prime ore di questa mattina, oltre 120 finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania, stanno eseguendo, nelle province di Catania, Caltanissetta, Messina, Siracusa, Ragusa, Trapani, Cosenza, Vibo Valentia, Napoli, Roma, Viterbo e Varese, con il supporto degli omologhi Comandi Provinciali nonché del I Gruppo etneo, un’ordinanza, concernente complessivamente 29 indagati, con cui il G.I.P. presso il Tribunale etneo, su richiesta della Procura della Repubblica di Catania, ha disposto l’applicazione di misure cautelari personali nei confronti di 15 soggetti (2 in carcere, 4 agli arresti domiciliari e 9 destinatari di interdittiva) e reali, finalizzate al sequestro di 28 società nonché di beni e disponibilità finanziarie per oltre 8,2 milioni di euro.

I reati a vario titolo contestati sono: associazione a delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti (FOI), dichiarazione dei redditi infedele e fraudolenta mediante l’utilizzo di FOI nonché indebita compensazione di crediti fiscali inesistenti.

Le indagini, svolte anche mediante attività di intercettazione telefonica e ambientale, accertamenti bancari,
acquisizioni documentali, escussione di persone informate sui fatti e servizi di osservazione, hanno portato alla
luce, nell’attuale fase del procedimento in cui non si è ancora instaurato il contraddittorio con le parti, un diffuso
sistema di frodi fiscali, realizzato attraverso la creazione di consorzi di imprese con il solo scopo di operare la
somministrazione illecita di manodopera a favore delle aziende clienti, celata sotto forma di falsi appalti di
servizi.
Le investigazioni hanno preso avvio a seguito dello svolgimento di una serie di controlli fiscali, che avrebbero
fatto emergere i segnali di un fenomeno illecito organizzato e particolarmente diffuso, specie tra le imprese
operanti nel settore turistico-alberghiero di Sicilia, Calabria e Lazio, dannoso sia per l’Erario, a causa dell’ingente
evasione di imposte (dirette e IVA) e contributi previdenziali, sia per le aziende che operano lecitamente sul
mercato, meno concorrenziali rispetto a quelle che si sarebbero avvantaggiate della frode, in grado di praticare
tariffe più convenienti in virtù dei conseguenti più elevati margini di guadagno.
Referente: Col. t.SPEF Diego Serra; Contatti: 3358359426
Il meccanismo di frode prevedeva uno schema operativo ricorrente.
In primo luogo, la costituzione di entità giuridiche in forma di consorzi (con sede legale a Roma e Firenze) e
società consorziate (oltre 26 susseguitesi nel tempo distribuite tra le province di Milano, Firenze, Roma, Catania
e Messina), tutte prive di una propria organizzazione, di mezzi e senza l’assunzione di alcun rischio d’impresa,
aventi di norma un ciclo di vita molto breve durante il quale avrebbero accumulato, senza onorarli, ingenti debiti
tributari.
Tali soggetti giuridici, legalmente rappresentati da prestanome, spesso nullatenenti e privi di competenze
professionali adeguate al ruolo apparentemente rivestito, avrebbero operato come meri serbatoi di manodopera,
nel senso che sarebbero stati utilizzati esclusivamente per assumere un numero elevatissimo di lavoratori, per la
maggior parte provenienti dalle aziende divenute clienti, per poi metterli a disposizione proprio di queste ultime
sotto forma di appalto di servizi fittizio. In realtà, come emerso dalle investigazioni, i lavoratori non hanno
mutato né sede lavorativa, né qualifica professionale, rimanendo, di fatto, alle dipendenze dell’originario datore
di lavoro per continuare a svolgere le proprie ordinarie mansioni.
Lo scopo sarebbe stato dunque quello di esternalizzare, solo in apparenza, la forza lavoro, in modo da conseguire
diversi vantaggi consistenti:

  • per le società clienti, nella maggiore flessibilità a fronte di una riduzione di costi sul lavoro, potendo modulare
    l’entità della manodopera in base alle esigenze di periodo e, al contempo, risparmiare sugli oneri retributivi,
    assicurativi, previdenziali e normativi connessi alle diverse tutele riconosciute ai lavoratori; ciò per effetto del
    licenziamento dei dipendenti delle predette aziende e della parallela assunzione in capo alle consorziate. Per di
    più, la stipula (solo formale) di un contratto di appalto avrebbe consentito alle clienti di detrarre l’iva applicata in
    fattura (non genuina) relativa ai “presunti servizi” erogati;
  • per gli ideatori del “sistema consorzio”, negli ingenti profitti illeciti derivanti dal mancato pagamento allo Stato
    dei debiti erariali (per imposte e contributi) maturati dal consorzio e dalle consorziate, neutralizzati attraverso
    indebite compensazioni con crediti IVA inesistenti derivanti dal simulato acquisto di beni strumentali da società
    “cartiere”, in realtà appositamente costituite dal sodalizio criminale per emettere fatture false.
    Quest’ultima operazione è risultata essenziale nella filiera del sistema fraudolento in quanto, beneficiando di
    compensazioni con crediti inesistenti, le consorziate hanno potuto certificare al cliente finale di avere
    “correttamente” assolto agli obblighi di versamento, fornendo la certificazione di regolarità contributiva (da
    INPS o INAIL competente per territorio) ovvero il modello DURC (Documento Unico di Regolarità
    Contributiva). L’escamotage in parola ha infatti consentito di aggirare le disposizioni introdotte dal legislatore
    per contrastare il fenomeno delle somministrazione illecita di manodopera come, a esempio, le disposizioni
    dell’art. 4 del D.L.124/2019 le quali obbligano le imprese che ricorrono ad appalti, subappalti, affidamenti a
    soggetti consorziati caratterizzati da prevalente utilizzo di forza-lavoro, come nel caso di specie, a richiedere
    certificazione di regolarità di pagamento delle imposte e dei contributi.
    E’ stato stimato che, negli ultimi 5 anni, il giro di fatture “false” legato al sistema di frode nel suo complesso
    sarebbe stato pari a oltre 56 milioni di euro di imponibile e oltre 13 milioni di IVA, garantendo profitti illeciti
    all’associazione a delinquere per oltre 8 milioni di euro, la metà dei quali distribuita agli organizzatori del
    sistema sotto forma di compensi professionali, stipendi, rimborsi spese.

    Le attività di indagine hanno permesso di comprendere che il centro decisionale di tutto il sistema fraudolento
    sarebbe ubicato a Catania, presso lo studio di un commercialista e del suo collaboratore, promotori e
    organizzatori del sodalizio criminale sebbene gli stessi non abbiano ricoperto alcun ruolo formale nei consorzi e
    nelle consorziate e nonostante il fatto che le tali società avessero sede legale in diverse province italiane (Milano,
    Firenze, Roma, Messina e Catania), talvolta presso civici inesistenti o locali vuoti e/o in disuso.
    Per la realizzazione del disegno criminoso, i predetti ideatori del “sistema consorzio” sarebbero stati coadiuvati
    da una serie di partecipi all’associazione a delinquere e da altri collaboratori esterni ad essa. Tra i primi vi è un
    soggetto originario di Cosenza (cl. 1969), responsabile e referente della rete commerciale in Calabria e nel Lazio,
    uno di Catanzaro (cl. 1969), referente di alcune strutture ricettizie operanti in Calabria, nelle plurime vesti di
    imprenditore, professionista, consulente del lavoro e depositario delle scritture contabili di società clienti dei
    consorzi nonché procacciatore di clienti per questi ultimi, e due addette, originarie di Nicosia e Roma (cl. 1982 e
    1968), per la gestione dei clienti/appaltanti, degli adempimenti giuslavoristici riguardanti i lavoratori in carico
    alle consorziate affidatarie e dell’interlocuzione e gestione delle teste di legno posti a capo dei consorzi e delle
    consorziate in qualità di legali rappresentanti.
    Gli altri collaboratori, esterni alla compagine criminale, sarebbero costituiti da una serie di fedeli personaggi, in
    tutto 9, pronti ad assumere il ruolo di amministratore di diritto delle diverse società via via costituite, facendo da
    paravento all’attività svolta dai suddetti indagati e informandoli anche nei casi di avvio di attività ispettive da
    parte di reparti territoriali della Guardia di finanza.
    Sulla scorta delle evidenze acquisite dai finanzieri del Nucleo PEF di Catania, il GIP presso il locale Tribunale,
    su proposta della Procura etnea, ha dunque ritenuto sussistente in capo agli indagati un grave quadro indiziario in
    ordine ai reati contestati disponendo:
  • la custodia cautelare in carcere nei confronti dei due promotori dell’associazione a delinquere, già destinatari di
    analoga misura nel 2020 a seguito delle indagini per frode fiscale condotte sempre dalle Fiamme Gialle etnee, su
    delega della locale Procura, nell’ambito dell’operazione convenzionalmente denominata “FAKE CREDITS”; gli
    arresti domiciliari per gli altri 4 partecipi all’associazione a delinquere e il divieto per un anno di esercitare uffici
    direttivi di persone giuridiche per i restanti 9 soggetti, ritenuti più stretti collaboratori dei suddetti promotori;
  • il sequestro di 28 società, utilizzate per realizzare il sistema di frode, nonché di disponibilità finanziarie, di beni
    mobili ed immobili riconducibili agli indagati per un valore complessivo di oltre 8,2 milioni di euro.
    Nel corso dell’esecuzione dei provvedimenti del G.I.P. si è parallelamente proceduto alla perquisizione locale e
    informatica disposta dal P.M. inquirente nei confronti dei rappresentanti legali delle aziende “clienti” che
    appaiono aver usufruito maggiormente della somministrazione illecita di manodopera, al fine di raccogliere
    ulteriori elementi indiziari a riprova dell’ipotesi di reato a loro ascritta di dichiarazione fraudolenta mediante
    utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e della sussistenza di responsabilità amministrativa, ai sensi del d.lgs.
    n. 231/2001, in capo alle società da loro amministrate per i vantaggi che avrebbero ottenuto dalla frode.
    L’attività si inserisce nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Procura e dalla Guardia di finanza di Catania a tutela della finanza pubblica, con lo svolgimento di complesse indagini volte, da un lato, a tutelare le imprese sane dalle più insidiose forme di frode fiscale, contrastando fenomeni illegali in grado di distorcere le regole
    della libera concorrenza, e, dall’altro, a garantire il recupero degli illeciti proventi dell’evasione, da destinare,
    una volta definitivamente acquisiti alle casse dello Stato, anche a importanti interventi economico e sociali.

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